AGRITURISMO
APPARTAMENTI
VACANZA


Località Cian de Cà,18033 - Camporosso (IM)
Cell. +39-333-9999683
E-mail : lacasarosa.agriturismo@gmail.com

La Casa Rosa è una palazzina in pietra costruita nell'anno 1923, situata in pineta e circondata da bosco e campagne.

Ci sono, all'interno 3 appartamenti, tutti forniti di cucina o angolo cottura e terrazzo, spazio esterno o veranda, attrezzati per poter mangiare fuori.Appartamento girasole5/6 posti letto,appartamento musica 2 posti letto ed appartamento mare 4 posti letto.

Il nostro agriturismo è famoso per il relax, ma soprattutto per l'incredibile fresco che si riesce ad avere in piena estate, quando si rientra dalla spiaggia, che dista soli 3 km.

Non facciamo servizio di ristorazione.

Inoltre, per gli amanti del relax, abbiamo adibito un'area nel nostro giardino, attrezzata con Gazebo e zanzariere, dove poter offrire massaggi antistress, sportivi, drenanti o decontratturanti, riflessologia, Ayurveda o pietre calde, offrendo la nostra esperienza da ormai 15 anni.

La natura che circonda il nostro agriturismo ci offre ogni sera uno spettacolo meraviglioso, con il passaggio dei cinghiali o la visita di pennuti e volatili particolari.

Vicino al nostro Agriturismo c'è un meraviglioso Ranch, dove è possibile fare qualche lezione di equitazione oppure organizzare delle meravigliose passeggiate a cavallo, il tutto con una particolare agevolazione per i nostri ospiti.

La posizione geografica della Casa Rosa è davvero strategica: siamo a 2 km dal paese di Dolceacqua (paese medioevale) con mercatini biologici dove trovare prodotti tipici; a 7 km dal confine Francese dove poter visitare Mentone, Cap Martin e Monte Carlo e 20 km da Sanremo, la città dei fiori.

Di fronte al nostro Agriturismo vi è la nuova pista ciclabile che porta al paese di Dolceacqua o direttamente alla spiaggia di Camporosso Mare!


Immersi nella tranquillità della campagna, vi regalerete una vera vacanza in completo relax...



giovedì 1 gennaio 2009

Leopoldo - Capitolo 1

L'INCONTRO
Era un prato sterminato, una grande distesa verde costellata di puntini bianchi e gialli. Erano bellissimi fiorellini che si pavoneggiavano nell'erba.
 Il sole si era appena levato ed appariva come una palla rossastra all'orizzonte.
Laggiù, in fondo Leopoldo vide una sagoma familiare che ben poteva essere un asino, anzi un'asina.
- che sia la mia mamma? - si chiese colmo di speranza.
 Era passato tanto tempo da quando l'aveva vista l'ultima volta; certamente più di venti ore.
Aveva trascorso la notte in una vecchia casupola, mezzodiroccata, che aveva trovato nelle campagne alla ricerca della sua mamma. Non aveva chiuso occhio al pensiero di non trovarla più.
Quella sagoma, che si stagliava contro la luce abbagliante del sole, gli accendeva ora la speranza.
Vide che brucava l'erba perchè il suo lungo collo era curvo verso terra e di tanto in tanto alzava la testa come per guardarsi intorno.
 - mi sta cercando? - si chiese Leopoldo.
Cominciò a trotterellare verso quell'ombra ma più si avvicinava più lo assaliva l'angoscia: era troppo grande per essere un'asina. La sua mamma, lo ricordava bene, era grande, sì, molto più di lui, ma quell'ombra - ancora lontana - gli sembrò gigantesca.
-sarà forse un elefante scappato da un circo, oppure un drago!
Continuò a correre al trotto, ansimando dalla stanchezza; quel prato era troppo grande per le sue piccole gambe, non ne aveva mai visto uno grande così. Non aveva neppure fame altrimenti quell'erba tenera sarebbe stata deliziosa.
Si accorse presto che non era lei.
Il sole era già più di un metro sopra l'orizzonte ed illuminava bene tutto intorno.
Ecco cos'era! Un enorme cavallo bianco che pascolava tranquillo senza curarsi di ciò che accadeva vicino. Non sembrò neppure che si fosse accorto di lui.
Sua madre, invece era alta la metà ed il suo mantello era grigio, con una macchia scura, quasi nera, sulle ginocchia. Più o meno aveva dieci anni, così gli disse un giorno che gli parlò di sè e del suo babbo.
Il cavallo non si mosse d'un palmo e continuò a mangiare l'erba, che strappava delicatamente con le labbra.
Leopoldo si avvicinò, impaurito dalla sua mole ma nello stesso tempo incantato da quel suo modo di fare impassibile. Lo guardò bene, allora: era grande più di lui almeno venti volte, aveva un bel mantello bianco dal pelo lungo e soffice ed una coda tanto lunga da strisciare sull'erba.
La sua testa era enorme e gli apparve ancor più grande quando la sollevò, finalmente, per guardarlo.
Aveva sulla fronte un circoletto nero dal quale partivano alcune striature scure in tutte le direzioni. Sembrava, quel disegno, un piccolo sole stampato in fronte.
Lo guardò incuriosito e sollevò il grosso labbro superiore rivoltandolo verso le enormi narici e mostrando una fila di denti bianchissimi. Gli sembrò che ridesse.
-chi sei, piccolo? - Gli disse con un vocione tra il bonario ed il severo.
- mi chiamo Leopoldo - gli rispose - e sto cercando la mia mamma.
- io sono Antenore - disse bruscamente il cavallo - e non cerco nessuno!
Antenore lo guardò negli occhi ma il suo sguardo non gli sembrò poi così torvo, anzi mostrava una certa benevolenza che non corrispondeva al tono severo della voce.
Non gli sembrarono proporzionate neppure le orecchie, che erano piccole e dritte.
Leopoldo ricordava le sue, che un giorno aveva visto specchiandosi in una pozza d'acqua sulla quale si era affacciato per bere. Erano enormi, in confronto a quelle di Antenore, e dovevano anche essere pesanti perchè alle volte le sentiva ricadere indietro. Anche il suo mantello, come quello della sua mamma, era grigio, ma più chiaro, e non aveva le macchie sulle ginocchia.
- perchè sei solo e cerchi la tua mamma? - gli disse Antenore.
- perchè l'ho persa - rispose Leopoldo. E raccontò la sua storia.
.... Eravamo andati a scorazzare, ieri, mi pare, o forse avantieri, sul prato che costeggia il fiume; di tanto in tanto, per riposarci, ci fermavamo e brucavamo l'erba.
Era piovuto, durante la notte, e l'erba era fresca e saporita. Sembrava più morbida del solito e profumava di menta.
La mia mamma non mi perdeva d'occhio un istante ricordandosi di quel che era successo una volta quando al mercato si era fermata al banco dei legumi per fare provvista di fave; mi ero perso, giocherellando intorno, e solo dopo un bel pò di tempo ci eravamo ritrovati, per caso. Pra perciò si era fatta molto attenta e mai più mi avrebbe lasciato da solo.
... Eppure accadde, nel momento in cui udimmo un grido che veniva da quella capanna, di arbusti e foglie, che i cacciatori avevano costruito in fondo al viottolo: la mamma corse verso la capanna e la vidi scomparire attraverso l'angusta porta che appena appena le consentiva di entrare.
Trascorse molto tempo, la mia mamma non tornava ed io cominciai ad annoiarmi. Non mi piacque più neppure l'erba, che mi smbrò amara, e l'umido che veniva dal suolo mi diede fastidio ai piedi.
- e se faccio un salto al fiume? - mi dissi.
Pensarci e farlo fu tutt'uno.

Leopoldo - capitolo 2 -

AL FIUME

La strada per il fiume fu breve. Bastarono quattro salti per ritrovarmi a ridosso di un muretto di pietre, grosse e squadrate, che serviva sicuramente per evitare che il fiume in piena traboccasse.
La poca pioggia del giorno prima non aveva fatto alzare il livello dell'acqua, che scorreva limpida, con un fruscio appena percettibile, ma che suonava piacevole alle orecchie.
Ricordai, improvvisamente, quello che era successo il giorno di Ognissanti, quando una bufera si era abbattuta sulla zona, inondando orti e frutteti; i contadini erano disperati. Uscivano dalla Chiesa, dove erano andati a sentire la Messa e accorrevano qua e là per vedere cosa si era salvato e si consolavano l'uno con l'altro.
Ora tutto era tranquillo ed il fiume sembrava diverso. L'acqua marrone e schiumosa della piena aveva lasciato il posto ad un ondeggiante chioma trasparente, nella quale si riuscivano a vedere, anche dall'alto, le pietre bianche e lisce che giacevano sul fondo.
Dal muro di pietre all'acqua, altre pietre disordinate, creavano una leggera discesa e camminando su di esse si poteva facilmente raggiungere il fiume.
Avevo visto, altre volte, quando la mamma mi conduceva a brucare l'erba su quel prato, che i pescatori si accovacciavano, per ore e d ore, su quelle pietre scomode in attesa che qualche pesce abboccasse all'amo.
La mamma mi avrebbe visto sicuramente se io, nell'attesa, mi fossi avvicinato all'acqua per berne un sorso e nello stesso tempo per assaporare quella pace e quel dolce fruscio. Altre volte ci eravamo affacciati allo stesso muro sulla stessa sponda e avrebbe immaginato che ero lì.
Certo non potevo prevedere quel che sarebbe accaduto da lì a poco, altrimenti mi sarei ben guardato dal commettere quell'imprudenza.
Antenore lo interruppe. Si leggeva nei suoi occhi l'apprensione ma nello stesso tempo la sua fronte aggrottata, chè il piccolo sole quasi era scomparso, mostrava quanto desiderio di sgridarlo covasse.
- nessuno ti aveva mai detto che i fiumi sono belli ma pericolosi? -
- l'acqua era chiara, morbida, sembrava che mi chiamasse, ed io non resistetti . : Replicò.
- continua -, aggiunse Antenore e ricominciò a brucare l'erba come se quella apparente tranquillità cercasse di allontanare i pericoli che quell'acqua cheta nascondeva.
...Saltando da una pietra all'altra, riprese Leopoldo a raccontare -, non ci volle molto a ritrovarmi con i piedi in acqua. Ma non più in direzione del punto da dove ero partito; alcune decine di metri più a valle giacchè discendevo di traverso per non cadere di colpo nel fiume.
Avevo dimenticato tutto: che avevamo sentito un grido venire dalla capanna, che il fiume era stato altre volte in piena, che i sassi erano scivolosi, che il sole era scomparso da tempo dietro la collina e che cominciava a farsi buio.
Giocherellavo con l'acqua e mi divertiva vedere l'arco di gocce che si formava quando battevo lo zoccolo in una piccola pozza stagnante.
Quando mi accorsi che il buio era arrivato fu troppo tardi. Mille cose fatte e subito cancellate. Il sapore fresco dell'acqua, i saltelli tra le pietre, il dondolio delle mie lunghe orecchie riflesso nel morbido specchio, il guizzo di una trota incuriosita di vedere un asino nel fiume.
Pensai alla mia mamma. Perchè non era tornata?
Qualcosa di strano doveva essere accaduto perchè non mi avrebbe mai lasciato a giocare in riva al fiume, da solo, sino a tarda sera.
Saltai su di una pietra e poi su di un'altra, cercando di allontanarmi dall'acqua. Ma mi resi subito conto che non mi avvicinavo al muro del prato; correvo verso valle, passando da una pietra all'altra, incespicando sulle punte aguzze di alcune di esse che sembravano volermi afferrare.
Le pietre al mio fianco, verso il muro, diventarono ad un tratto a strapiombo. L'umido della sera, poi, le aveva rese viscide e le mie zampe non riuscivano ad afferrarle.
Annaspai, ricominciai a sbalzare da un sasso all'altro, ma il buio già mi faceva palpitare perchè ogni pietra dalla forma strana pareva volesse appiccicarmi al suolo.
- la mia mamma mi troverà sicuramente, - pensai -, correrà lungo la sponda del fiume fino a vedermi. Mi lancerà una corda ed io mi arrampicherò, finalmente, fino a raggiungere il muro.
Ma la corda? Dove potrà trovare una corda, di sera, in un prato lontano dalle case? Le mie speranze si alternavano alle costernazioni. Ogni mamma, mi dicevo per tranquillizzarmi, sa dov'è il suo bambino ed ogni mamma è capace di salvarlo.
Svenni. Così mi sembrò che fossero andate le cose al mio risveglio, quando mi trovai adagiato du si un fianco, al di là del muro, al sicuro accanto ad un mucchio di fieno profumato e appetitoso, di fronte ad una casupola semidiroccata. Non so, e forse mai saprò, come io giunsi lì, forse con l'aiuto di un angelo o di una gru.
Il buio non mi fece più paura, avevo superato la montagna di pietre che mi separava dalla slvezza e non me ne importava più di nulla, neppure della mia mamma che si era dimenticata di me.
Mangiai e mangiai. Quel fieno era il migliore che avessi mai assaggiato in vita mia.
Neppure le fave che la mia mamma comprava al mercato avevano un sapore così delizioso e quel profumo che mai più avrei dimenticato.
Mi addormentai, nella casupola, infreddolito ma con il dolce pensiero che ogni cosa si sarebbe risolta con la luce del giorno.

Leopoldo - capitolo 3

IL RISVEGLIO


- Leopoldo, piccolo mio ! - Disse affettuosamente Antenore, sollevando il capo e guardandolo fisso negli occhi. Sto pensando che io non ho mai visto un fiume, in questa campagna. Devi aver camminato molto prima di giungere qui!
E Leopoldo riprese a raccontare mentre Antenore, come se volesse ascoltarlo meglio, si accovacciò vicino a lui. In piedi, vicino al cavallo bianco, Leopoldo non gli arrivava neppure alla spalla, tanto quello era grande!
... Il risveglio non fu dolce; avevo avuto freddo, durante la notte, ed avevo rimpianto il calore che mi dava la mia mamma con il suo morbido mantello quando la sera mi accucciavo nel suo grembo.
Mi resi conto che avevo trascorso la mia prima notte da solo e che avevo perso la mia mamma. Non era più il ricordo delle peripezie del giorno prima, lungo il greto del fiume, che mi affliggeva ma il pensiero che avrei dovuto mettermi alla ricerca della mia mamma senza sapere da dove cominciare.
Con la luce del giorno, ora, potevo vedere bene che ciò che mi circindava era completamente diverso dal verde prato in cui, con la mia mamma, saltellavo il giorno prima.
Dietro alla casupola diroccata, in cui avevo dormito, si stagliava una grossa montagna e sulla sua cima si vedevano bene i pini, dritti come i fili del mio spazzolino.
- come può essere accaduto di risvegliarmi in un mondo nuovo? - mi chiesi. Non mi sembrava di aver percorso bel fiume, saltando tra le pietre, tanta strada e, poi, io paesaggio non era più lo stesso.
- qualcuno, un giorno me lo spiegherà - bofonchiai - adesso l'importante è che io ritrovi la mia mamma.
Quando cominciai a vagare per le campagne il sole era già alto; non avevo più freddo perchè i suoi caldi raggi penetravano nel mio mantello accarezzandomi la pelle.
Mi sentivo meglio e la certezza che presto avrei riabbraciato Lucrezia, la mia dolce mamma, mi risvegliò il buon umore e l'appetito. Il trifoglio c'èera ed io non ne lasciai un filo in un campo di cento miglia !
- già - disse Leopoldo ad Antenore - forse tu non sai che si chiama Lucrezia !
Antenore sorrise e parve che i suoi occhi luccicassero un pò. La storia di Leopoldo, si vedeva, lo commuoveva e ora si capiva che il suo animo era buono e che la sua grande statura era stata fatta solo per combattere i draghi e i prepotenti.
- sbrigati, figliuolo ! Dobbiamo fare presto qualcosa. Finisci il tuo racconto e andiamo ! 
... Camminai e camminai. Mi fermavo, ogni venti passi, e facevo un giro su me stesso per essere sicuro di aver guardato bene intorno e per dare sollievo alle mie stanche gambe.
Il sole era molto più alto quando d'un tratto vidi le pecore. Finalmente, da quando la mia mamma si era allontanata, vedevo un essere vivente. Erano tutte uguali come se fossero gemelle e non riuscivo a distinguerne tra loro una che potesse saperne di più.
- hai visto, per caso, un'asina grigia disperata? - chiesi ad una pecora che mi guardò mentre muoveva stancamente le mascelle ruminando l'erba.
- sei tu l'unico asino che vedo dallo scorso anno - mi rispose - questa è una landa desolata e non vi sono altro che pecore..
Ripresi il mio cammino, ripensando con nostalgia ai tempi passati, al giorno prima, quando niente esisteva per me oltre che la mia mamma, le fave, l'erba tenera ed il fiume.
Mi addormentai all'ombra di un carrubo, dopo averne assaggiato i frutti croccanti e profumati, ancora preso da quei pensieri, e sognai la mia mamma.
Aveva un cappellino di paglia sulla testa con due grossi buchi dai quali spuntavano le sue lunghe orecchie. Lo zio Oreste, suo fratello, che la prendeva sempre in giro, avrebbe detto che era buffa, ma a me sembrava una di quelle eleganti signore che vanno ai matrimoni per farsi ammirare. Era proprio bella e mi sorrideva, senza parlare.
Mi sembrò che non si fosse per nulla preoccupata della mia assenza, anzi che proprio gliene importasse un bel niente. E la cosa mi diede fastidio.
- mi hai lasciato solo - la sgridai - che quasi annegavo nel fiume e morivo di fame!
- ti sbagli, Leopoldo - mi disse -, la tua mamma non ti ha mai perso di vista un istante ed è sempre stata accanto a te. 
Avevo sognato tutto? le pietre e la trota, l'Angelo e la gru o stavo sognando in quel momento?
Mi accorsi presto che la realtà era diversa quando bruscamente mi risvegliai al fracasso di un tuono. Il cielo era coperto di nuvole grigie, minacciose e cominciava già a piovere.
Le saette tagliavano il cielo a metà e i lampi illuminavano tutt'intorno che ormai era nero dal buio, piombato di colpo.
Corsi sotto la pioggia per miglia e miglia, senza incontrare nessuno, e la mia speranza, in quel momento, era solo quella di trovare la mia mamma oppure un riparo, per trascorrere la notte al sicuro. Non vedevo più nulla e incespicavo ad ogni passo nelle radici degli alberi che mi si aggrovigliavano ai piedi; approfittavo dei lampi per fare qualche saltello in avanti.
Giunsi stremato in un vasto pinoro sotto una fitta pioggia e vidi, alla luce di un lampo, una piccola casa, semidiroccata, che si stagliava contro quel cielo nero.
Aveva ai fianchi due muri di mattoni, bassi e luccicanti. Quando entrai mi sembrò che quelle braccia mi aspettassero e si richiudessero dietro di me, in un abbraccio.
- e poi? - gli chiese Antenore che aveva seguito il suo racconto con il fiato sospeso.
- mi addormentai - rispose Leopoldo - e non sognai !

Leopoldo -capitolo 4

IL RAPIMENTO


Lucrezia entrò nella capanna e sentì richiudersi dietro di lei, di colpo, la porta.
Non vide nulla perchè soltanto una fessura illuminava debolmente l'interno ed i suoi occhi erano ancora abbagliati dal sole.
- è lei - sentì da una voce stridula che proveniva dal fondo.
- prendiamola, svelto ! - aggiunse l'altra che, invece, era così cupa e forte da far tremare la capanna.
Gli occhi di Lucrezia si erano intanto abituati lentamente al buoio e potè distinguere due ombre. Una le sembrò enorme; chi possedeva quell'ombra doveva essere alto almento due metri e si vedeva che la sua testa toccava il tetto di paglia, l'altra doveva, invece, essere di un nano perchè Lucrezia poteva guardarla, tutta, dall'alto in basso.
Erano due uomini, si capiva, perchè le due mobre erano ritte, in piedi, e le loro voci erano inconfondibilimente umane.
- cosa mai vorranno? - pensò Lucrezia - io non ho mai fatto niente di male e Leopoldo mi aspetta.
- porta il carro alla porta, Lonzo - disse il piccolo uomo all'altro - e andiamo in fretta.
Lonzo, questo era il nome di uno dei due, aprì la porticina ed uscì. Lucrezia vide che era un omone alto e robusto, con due lunghi baffi sottili che gli pendevano oltre il mento.
Aveva una giacca rossa con gli ornamenti color oro come se fossero taralli appiccicati da una parte all'altra del petto e calzava due stivali vecchi e graffiati nei quali si infilavano i pantaloni bianchi e sporchi. Sulla testa portava un berretto nero con la visiera, come quello dei marinai.
Lucrezia pensò che era un domatore, ma non riusciva a capire cosa potessero volere da lei che una sola volta, in vita sua, aveva avuto a che fare con il circo quando, ancora giovinetta, era andata con le sue amiche a vedere uno spettacolo.
Vide bene anche l'altro, con la luce che entrava dalla porta. Era piccolo, ma il suo volto era quello di un adulto e si vedeva che chiaramente era un nano.
Aveva grosse mani con le dita corte e le sue gambe erano minuscole e ad arco; aveva i capelli biondi, lunghi e ricciuti e, a vederlo da dietro, poteva sembrare un bambino con le gambe corte.
Aveva un vestito giallo e toppe e probabilmente era quello che indossava nel circo per fare il pagliaccio.
Si udì uno stridore di ferri ed apparve, davanti alla porta, un vecchio carro trainato da un mulo, vecchio pure lui e magro come un chiodo. Il carro era coperto da un telo che lo faceva sembrare un vagone del treno, di quelli che trasportano i pacchi o le bestie.
Non si vedeva cosa vi fosse dentro ma già da lontano si sentiva uno sgradevole odore di paglia ammuffita e di chiuso.
Lonzo discese dal suo posto di guida ed entrò nella capanna.
- sono pronto - disse all'altro, - carichiamola prima che arrivi qualcuno !
La spinsero fuori dalla porta e a Lucrezia non fu possibile resistere anche se cercò di puntare gli zoccoli contro le zolle che, ancora morbide dalla pioggia, si sfaldavano e schizzavano via.
Lucrezia non disse che lì intorno c'era anche Leopoldo e fu quasi felice di non vederlo. Era chiaro che si trattava di un rapimento e certamente avrebbero rapito anche lui, se lo avessero scorto.
- aiutami a sollevarla, Crocco - disse Lonzo al nano.
La caricarono sul carro, richiusero il telo, così che non si potesse vedere nulla da fuori e montarono a cassetta.
 Le deboli grida di Lucrezia, soffocate da quel telo e dalla paglia, si sentivano appena, ma il fracasso delle ruote sgangherate ed arruginite del carro le copriva.
Non v'era comunque anima viva nel giro di miglia e miglia e nessuno poteva perciò accorrerre in aiuto.
- Crocco sei sicuro che questa bestia sappia saltare? - disse l'omone al nano.
- certo, Lonzo - replicò l'altro - l'ho vista con i miei occhi.
Lucrezia, veramente, era un'asina eccezionale perchè sin da piccola si era abituata a saltare la staccionata, un pò per gioco ed un pò per scorazzare nella vallata di fronte alle stalle.
Non è che la tenessero prigioniera, gli uomini della sua fattoria, ma il farli impazzire a cercarla era la cosa che più la divertiva.
Fu così che con lo stupore di tutti si abituò a saltare ogni cosa in cui si imbatteva, dai trogoli dei maiali ia fusti del petrolio, dalle siepi di rosmarino alle cataste di legna via via più alte. Nessun'altra asina al mondo era capace di fare queste cose che erano riservate ai cavalli di razza, quelli che con il padrone in groppa saltano le pozze d'acqua e le travi colorate e ricevono gli applausi.
Crocco l'aveva vista, due o tre anni prima, passando accanto a quella fattoria, ed aveva sognato di poterla possedere, un giorno, per farla esibire nel suo circo.
Il circo, ormai, era ridotto ad un ammasso di cose vecchie e tutte le bestie, maltrattate da Lonzo il domatore, erano scappate dalla disperazione. Era rimasto un vecchio leone senza denti che in cambio di una sua apparizione senza gabbia, tanto era mansueto, si guadagnava tre pasti al giorno di brodo e carne macinata. Non aveva nessuna convenienza a scappare perchè bastava che i bambini lo guardassero per qualche minuto di spettacolo per togliersi ogni problema di vitto e alloggio.
Il rapimento di Lucrezia, perciò, sembrò ai due ceffi che fosse l'unico modo per risollevare le sorti del circo che, così, poteva offrire un numero mai visto prima: una bellissima asina che saltava gli ostacoli !
... E fu così che si misero subito all'opera.

Leopoldo - capitolo 5

IL CIRCO


Lucrezia si accorse  presto che stavano cominciando, per lei, grossi guai. Ciò che l'angosciava, però, non era la sua sorte, ma il pensiero di Leopoldo, rimasto solo nel prato.
- dove potrà essere andato - si chiese - mentre io ero nella capanna dei cacciatori?
Il fatto di non averlo visto, quando fu caricata sul carro, da una parte l'aveva rallegrata, perchè altrimenti avrebbero rapito anche lui, ma dall'altra parte ora la impensieriva.
Leopoldo sin da piccolo aveva dimostrato di non essere, come si suol dire, uno stinco di santo. Le biricchinate erano, per lui, pane quotidiano e spesso Lucrezia doveva fare il giro degli amici e dei parenti, per trovarlo.
Fu proprio il ricordo di queste cose che, però, tranquillizzò Lucrezia. Leopoldo era un asinello sveglio e intraprendente ed avrebbe saputo cavarsela, da solo, in ogni circostanza.
Fu strappata ai suoi pensieri dallo schioccare di una lunga frusta e dalla minacciosa presenza di Lonzo che si accingeva a provare il suo numero.
- so che tu sai saltare, bell'asinella ! - le disse - avrai cibo a volontà e non ti mancherà nulla.
Lucrezia avrebbe voluto dirgli che le mancava tutto, perchè non aveva Leopoldo, ma le parole non le uscirono di bocca, tanta era la paura che quell'uomo le incuteva.
Fu a quel punto che spuntò, dalle pieghe di una tenda, un piccolo cane. Era alto un palmo ed aveva il pelo così lungo che si stentava a capire cosa vi fosse sotto; neppure gli occhi erano ben visibili, si riusciva solo a vedere due punti scuri quando muoveva la testa ed i peli dondolavano da una parte all'altra del viso.
Era veloce come il vento e sembrava che il suo corpo si spostasse come sparato da un cannone anzichè portato dalle gambe. Lucrezia non aveva mai visto nulla di simile, in vita sua, ed era curiosa di vedere cosa quell'animale avesse a che fare con lei.
Anche il colore del suo pelo non era consueto per un cane: era color ruggine, ma numerose striature argentate, dall'alto al basso lo facevano somigliare ad una frangia variopinta. Il buffo di quel cane era che la cosa aveva la forma di una palla, delle stesse dimensioni della testa perciò, quando era fermo, sembrava che avesse due teste o due code. A vederlo sfrecciare poi, guardandolo di lato, alle volte dava l'impressione che andasse all'indietro.
- hoop ! Ronnie - urlò l'uomo e fece schioccare la frusta.
Quel piccolo cane fece un salto enorme come se al posto delle zampe avesse delle gigantesche molle e fu subito sulla groppa di Lucrezia, esterefatta.
- corri intorno - sbraitò Lonzo, rivolto a Lucrezia, - e non curarti di lui.
Il tendone del piccolo circo racchiudeva una pista rotonda, grande più o meno la metà di un'aia, sulla quale era stata sparsa segatura, forse per non far scivolare le bestie in corsa. Oltre a Lonzo, Lucrezia e Ronnie non vi era nessun altro che assistette al numero e le sedie pieghevoli, al di là della pista, erano tristemente vuote.
Si trattava, evidentemente, della prova di quel numero nuovo che aveva acceso le speranze di Crocco, il padrone del circo.
Lucrezia cominciò a trotterellare costeggiando il bordo della pista e trotterellando sentiva sulla schiena i saltelli del cane. Le sue piccole zampe poggiavano sicure e si capiva benissimo che Ronnie era abituato da sempre a fare quell'esercizio.
- se si tratta solo di questo - riflettè Lucrezia - dovrò solo trovare il modo di scappare, per cercare il mio piccolo, ma intanto non mi ammazzerò di lavoro.
Lonzo, con la sua frusta, la riportò alla realtà. Lucrezia non era un'asina come le altre; lei sapeva saltare gli ostacoli e nessun circo al mondo aveva mai presentato un simile numero.
L'uomo si chinò e prese, con una mano, come fosse un fuscello, una panca, di quelle che nei circhi più grandi si usano per far scendere i leoni, e la mise di colpo davanti all'asina in corsa. Non vi fu il tempo di scansarla e Lucrezia saltò. Leggera come una gazzella. Morbida come un canguro. Agile come un leopardo.
Ronnie, sulla sua schiena, la seguiva a meraviglia e ad ogni giro di pista a sua volta saltava ruotando di mezzo giro su se stesso.
Altri sgabelli... tre, quattro, cinque furono gettati da quel ceffo sul cammino di Lucrezia ma lei non se ne accorse neppure. Li saltava pensando a Leopoldo, alle sue piccole marachelle, alle corse sui prati, alle gite al fiume.
- il fiume ! Ecco dov'era Leopoldo quando lei uscì dalla capanna... - pensò. E mille angoscie l'assalirono. Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi a fiotti.
Non vide più nulla, nè la pista, nè panche e sgabelli, e la segatura le si impastò ai piedi. Incespicò e cadde, insieme a Ronnie che guaiva spaventato.
Lonzo gridò, imprecò e fece schioccare la frusta ad un palmo da Lucrezia.
- ricomincia da capo, asina ! - le disse, paonazzo e furibondo - non hai scampo !
E Lucrezia si rialzò, ricominciò a correre con Ronnie che, intanto, era di nuovo piombato sulla sua schiena, come se nulla fosse accaduto, abituato com'era anche agli intoppi.
Furono cento, o mille, i giri che Lucrezia compì, saltando gli ostacoli che si ritrovava davanti, ad ogni giro più alti, ma non piangeva più. Aveva deciso di fuggire, quella stessa sera o l'indomani e la certezza di riabbracciare presto il suo Leopoldo le aveva cancellato ogni fatica, il volto cupo e severo di Lonzo e le due teste, o le due code di Ronnie.
Vide, con la sua fantasia, solo praterie e colline e correrle incontro un piccolo asino.

Leopoldo - capitolo 6

ALLA RICERCA DI LUCREZIA


Antenore sollevò il capo e guardò Leopoldo negli occhi. Si leggeva, in quel piccolo volto, da una parte l'angoscia che lo aveva assalito e dall'altra parte la speranza che quel fortunato incontro gli aveva dato.
- tu sai dov'è la mia mamma, vero ? - chiese Leopoldo - 
Antenore fu colto, per un attimo, dal panico. Non sapeva neppure da dove cominciare e quel piccolo asino credeva che di lì a poco egli lo avrebbe condotto tra le braccia di Lucrezia !
- certo, piccolo ... vedrai che presto la ritroveremo !
Si misero subito in cammino e Leopoldo cominciò a trotterellare dietro ad Antenore. Per ogni passo del cavallo l'asinello doveva farne cinque o sei ed Antenore sembrava non accorgersi della fatica che Leopoldo faceva a stargli dietro.
In verità Antenore sapeva bene che il suo passo era svelto, forse più di quanto Leopoldo volesse, ma la sua preoccupazione di mettersi subito alla ricerca di Lucrezia gli consigliava di non perdere tempo.
Temeva, in cuor suo, per la sorte di Lucrezia perchè aveva sentito parlare di gente che rapiva le bestie per venderle al mercato e se ciò fosse accaduto prima di ritrovarla non ci sarebbe stata più speranza.
- dove si va ? - chiese Leopoldo.
- andremo in città - rispose Antenore -, ho un amico, fa il maniscalco e si chiama Antonio.
Tutte le speranze di Antenore erano, in effetti, che il suo amico Antonio gli desse un aiuto ed era convinto che lui potesse sapere qualcosa per via del suo mestiere.
Antonio aveva conosciuto Antenore alcuni anni prima quando il cavallo abitava in città ed era al servizio di una facoltosa famiglia che possedeva un calesse.
Andava da lui una volta al mese e chiacchieravano un pò mentre Antonio gli metteva i ferri nuovi agli zoccoli.
Non vi era maniscalco così bravo nell'arco di mille miglia, ma Antonio era, più che altro, diverso dagli altri uomini perchè amava le bestie come fossero i suoi fratelli.
- ma puoi fidarti ? - chiese Leopoldo un pò preoccupato.
- è l'uomo più buono del mondo, vedrai, - rispose Antenore - e ci aiuterà a ritrovare la tua mamma.
Il sole aveva già oltrepassato la metà del cielo quando Antenore si fermò. Erano giunti in una fattoria abbandonata e che doveva esser stata bellissima. I muri, fatti di pietre chiare e squadrate, erano cadenti e l'edera intorno aveva preso il sopravvento abbracciando la casa come se volesse tenerla in piedi.
Quella era la fattoria dove Antenore portava i suoi padroni, in calesse, tutte le domeniche d'estate.
Erano stai tempi felici perchè lui, Antenore, era il beniamino di tutti ed in particolare della piccola Anna, la sua padroncina, che lo rimpinzava, di nascosto, a zollette di zucchero. Il sole che Antenore aveva stampato sulla fronte era per lei una cosa che la affascinava e che le faceva sembrare il suo cavallo il più bello del mondo.
Poi tutto era finito quando la fattoria era stata venduta. Antenore era stato rimesso in libertà ed il calesse era stato regalato al maggiordomo.
- hai fame ? - chiese Antenore.
- ne ho tanta da non vederci più - rispose Leopoldo.
Antenore mosse la sua grande testa, in un arco morbido ed elegante, e la sua criniera sembrò, dal basso ed agli occhi di Leopoldo, la coda di un aquilone al vento.
La direzione della testa del cavallo portò lo sguardo di Leopoldo verso la casupola, lontana cento metri, che sembrava lasciata intatta nel tempo.
Furono d'un balzo dentro e trovarono, come li aveva lasciati Antenore anni prima, biada a non finire e fieno profumato. E mangiarono a sazietà.
- è ora di andare, Leopoldo - disse improvvisamente Antenore - dovremo essere in città prima di sera.
Si misero di nuovo in cammino ma Leopoldo non riusciva a stare al passo di Antenore, tanto era stanco. Si fermava, ogni tanto, per riprendere fiato ed il cavallo fingeva di brucare l'erba per non dargli a vedere che lo aspettava con impazienza.
Quando giunsero in vista alle case era già tramontato il sole da un pezzo e le ombre allungate avevano lasciato il posto ad un paesaggio senza colori, con le case basse e disposte in due lunghe file.
- La casa di Antonio è laggiù, tra le ultime - disse Antenore - e siamo ormai arrivati. Si udì un frastuono di ferro e un rintocco di colpi forti e cadenzati e d'improvviso apparve, alla vista dei due stanchi animali, l'uomo.
Era curvo sull'incudine e non si accorse, subito, di loro.
Antonio era altissimo e magrissimo, aveva braccia enormi e sembrava che gli si fossero allungate, oltre misura, dal peso del grande martello che ondeggiava ad ogni clopo e si abbatteva sull'enorme incudine arruginita.
Un lungo grembiule di tela cerata, legato intorno alla vita con un laccio, copriva i suoi pantaloni lisi e scoloriti dal tempo e ai piedi portava grossi zoccoli di legno, quasi sentisse il bisogno di sembrare più alto.
Alzò gli occhi e li vide. Il suo sguardo su Antenore mostrò la gioia che provava nel rivederlo e quanto egli amasse quel cavallo, ma la curiosità superò ogni altro sentimento.
- chi sei piccolo ? - chiese a Leopoldo.
Ed Antenore gli raccontò la sua storia.

Leopoldo - capitolo 7

LA FUGA



Il maniscalco si era commosso nel sentire tutte le disavventure che avevano colpito Leopoldo e si vedeva bene che i suoi occhi erano lucidi dalle lacrime che appena appena era riuscito a ricacciare in gola.
Antenore aveva ragione: Antonio era di una bontà infinita e la gente correva da lui tutte le volte che aveva un problema, grosso o piccolo, da risolvere.
Ma l'uomo si riprese subito ed il suo volto, raggiante per aver ritrovato l'amico Antenore, mostrava una serenità che lasciava i due animali sperare che ogni cosa si sarebbe risolta.
Sembrò che ANtonio sapesse già dove ritrovare Lucrezia, ma egli non volle spiegare ai suoi amici cosa contasse di fare o dove pensasse di andare.
- domani ci alzeremo presto e ci metteremo in cammino - disse l'uomo; quindi prese a battere sull'incudine i ferri che via via toglieva dal fuoco.
Agli occhi di Leopoldo, che non aveva mai visto nulla di simile, sembrava che quei ferri si modellassero da soli, che la mano dell'uomo servisse soltanto a spostarli dal fuoco all'incudine e dall'incudine al fuoco per arroventarli ancora e poi nuovamente ribatterli ed infine cacciarli nell'acqua a raffreddare.
In pochi minuti otto ferri, quattro grandi e quattro piccoli, luccicarono nelle mani di Antonio che li mostrò orgoglioso ai due animali.
- ecco le vostre scarpe, amici !, ne avrete bisogno domani all'alba, quando ci metteremo in viaggio.
Si avvicinò ad Antenore e gli prese una zampa ripiegandola delicatamente all'indietro. Il cavallo, abituato da sempre a quell'operazione, non battè ciglio quando Antonio fissò il ferro allo zoccolo con lunghi chiodi squadrati e appuntiti.
Leopoldo osservò la scena sbalordito e ci volle un pò per rendersi conto di ciò che stava accadendo, ma soprattutto fu nel dubbio, sino alla fine, che Antenore non provasse dolore.
- stai tranquillo, piccolo ! - disse il maniscalco ridendo, - avrai anche tu le tue scarpe e ne sarai contento !
In un batter d'occhio anche Leopoldo fu ferrato, ebbe cioè le sue prime piccole scarpe e le provò subito.
Gli parse, dapprincipio, di trovarsi sui trampoli ma presto si accorse che era diventato più veloce del vento e che, al trotto, riusciva a sollevarsi da terra molto più di prima; gli sembrò di poter saltare, ora, come Lucrezia, leggero come una gazzella, morbido come un canguro, agile come un leopardo.
Dormirono sino all'alba, quando Antonio portò loro biada, carrube e fave. E si misero subito in viaggio.
Antonio aveva ora, dopo averci pensato per tutta la notte, la certezza che Lucrezia fosse stata rapita da quel losco padrone di un piccolo circo che si era piazzato alla periferia della città.
Quel nano gli aveva portato, per mettergli ferri nuovi agli zoccoli, un vecchio mulo che usava per trainare il suo carro.
Si era lasciato andare, mentra Antonio preparava i ferri, al racconto di un entusiasmante numero, mai visto in un circo, in cui un'asina saltava meravigliosamente gli ostacoli.
Il maniscalco non aveva fatto caso, allora, aquel che gli diceva l'uomo perchè gli era sembrato che fosse soltanto il modo per farsi pubblicità.
- Leopoldo, - chiese Antonio -, la tua mamma sa saltare?
- certo, - rispose l'asinello - è più brava di me e nessun altro asino al mondo salta come lei !
- so dove trovarla, piccolo ! so dove trovarla !
Antonio cominciò a correre, ansimando e inciampando con i suoi grossi zoccoli di legno, e dietro di lui, al trotto Antenore e Leopoldo.
Si fermarono sulla cima di una collinetta dalla quale era possibile vedere un pianoro, brullo e polveroso, con un logoro tendone da circo in mezzo. Intorno due o tre carri ed un vagone ferroviario, con le ruote d'automobile, attaccato ad un trattore.
Da quella distanza non si riusciva a vedere cosa vi fosse in quei carri, ma si intuiva che là fossero rinchiusi gli animali del circo.
Antonio era inquieto. Ora tremava al pensiero di aver dato al piccolo Leopoldo illusioni e temeva che l'asina di cui gli aveva parlato il padrone del circo non fosse Lucrezia.
Non si poteva fare nulla, del resto, sino a sera, finchè non fosse iniziato lo spettacolo e fosse stato possibile vedere qualcosa.
- Leopoldo, - disse d'un tratto Antonio - tu ci aspetterai qui e noi due, questa sera, andremo al circo.
Leopoldo non fu contento di quel che gli disse il maniscalco ma capì che la liberazione di Lucrezia non poteva essere intralciata da un piccolo asino impacciato, e si rassegnò.
La sera giunse presto e i preparativi per lo spettacolo iniziarono.
Alcuni bambini soli ed altri accompagnati dai grandi cominciarono ad arrivare. Crocco, davanti all'ingresso, distribuiva i biglietti e si vedeva che era contento per il gran numero di persone che entravano. La notizia di un'asina eccezionale aveva fatto il giro del paese e tutti erano curiosi di vedere quel che sapeva fare.
Le sedie pieghevoli, cento o duecento, furono presto occupate da un mare di gente, per lo più bambini, che fremevano in attesa che lo spettacolo iniziasse.
Le luci si accesero e due riflettori, puntati sul centro della pista, dissiparono il buio che ormai si era fatto intorno.
Apparve Crocco, vestito da pagliaccio, con un grosso naso rosso, finto, sulla piccola faccia, che lo rendeva brutto ma non suscitava risate. Lo fischiarono e lui fece un inchino e scomparve.
Ormai era chiaro che tutti aspettavano lei, l'asina divenuta famosa. E Lucrezia apparve da un varco, al galoppo, tra gli applausi interminabili del pubblico che si alzò in piedi per vederla meglio.
Sulla groppa aveva un drappo rosso di velluto che spiccava sul suo bel mantello grigio e, sulla testa, quel cappellino coi buchi che aveva sognato Leopoldo.
Lonzo entrò e fu subito al centro, con la sua frusta che fece schioccare in un assordante e sinistro sibilo. Lei non aveva paura, perchè mai Lonzo aveva osato sfiorarla, ma sapeva che doveva correre e saltare, senza inciampare.
Lucrezia correva e saltava gli ostacoli, che Lonzo le metteva davanti, sempre più alti ad ogni giro e gli applausi coprivano, ormai, il sibilo della frusta.
Quando Ronnie entrò e saltò sulla groppa di Lucrezia i bambini non ressero dall'entusiasmo: si precipitarono sul bordo della pista e cominciarono ad incitare i due animali che correvano e saltavano sempre di più.
Antonio ed Antenore si erano nascosti tra un carro ed il tendone del circo ed avevano viato tutto. Ormai non avevano più dubbi che si trattasse di Lucrezia e si prepararono.
Dei due riflettori, uno illuminava Lonzo e l'altro seguiva Lucrezia e Ronnie.
D'un tratto, dal buio, apparve l'enorme cavallo bianco, ad uno sfrenato galoppo e sulla sua groppa l'uomo, Antonio, che agitava le sue lunghe braccia e urlava frasi incomprensibili.
A tutti, eccetto che a Lonzo, sembrò che facessero parte dello spettacolo e gli applausi si fecero ancor più scroscianti.
I bambini pensarono che quella figura allampanata sul cavallo fosse un altro pagliaccio e l'entusiasmo fu alle stelle.
Lucrezia capì al volo che quell'improvvisa comparsa aveva a che fare con Lei e con la sue liberazione ed anche Lonzo si rese conto che stava accadendo qualcosa di grave per lui e per il circo.
L'asina, con ancora Ronnie in groppa si girò verso Antenore, che la segiuva zigzagando e sollevando un'enorme nuvola di segatura per far confusione, e lo guardò negli occhi.
Il cavallo le fece un cenno con il capo, verso lo stretto corridoio, e Lucrezia balzò fuori dalla pista, come una saetta, con Ronnie che si aggrappava, con le sue piccole zampe, al drappo di velluto rosso.
Lonzo tentò di inseguirla, ma fu bloccato dall'enorme sagoma di Antenore che gli si parò davanti.
Antonio, dall'alto della sua statura che si aggiungeva alla mole di Antenore, continuava ad agitare le lunghe braccia, come pale di un mulino al vento.
Furono subito fuori anche loro e videro Lucrezia che, ancora incredula, li aspettava e, con lei, Ronnie che non mostrava di voler lasciare il suo posto.
- vedrai presto il tuo Leopoldo - le disse Antonio -, è qui vicino e ti sta aspettando !
Antenore, con in groppa Antonio, e Lucrezia con in groppa Ronnie, galopparono sino alla cima della collina e trovarono Leopoldo sprofondato nel sonno, disteso sull'erba, con il volto sorridente. Sognava certamente la sua mamma, con il suo cappellino di paglia, e questa volta il risveglio fu più bello del sogno.
Lucrezia, pingendo di gioia, lo abbracciò stringendolo forte al petto e fu il tepore di quel morbido mantello a svegliare Leopoldo. Appena il tempo di accorgersi che non era più un sogno e l'asinello si riaddormentò nel grembo di Lucrezia e sognò ancora: un prato costellato di fiorellini bianchi, colorato dal verde della tenera erba profumata di menta, un enorme cavallo bianco ed accanto a lui Lucrezia, la sua dolce mamma, e laggiù, davanti alla capanna dei cacciatori, Antonio, con l'incudine e il martello. E Ronnie che saltellava intorno, con le sue due teste o le sue due code.
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