IL CIRCO
Lucrezia si accorse presto che stavano cominciando, per lei, grossi guai. Ciò che l'angosciava, però, non era la sua sorte, ma il pensiero di Leopoldo, rimasto solo nel prato.
- dove potrà essere andato - si chiese - mentre io ero nella capanna dei cacciatori?
Il fatto di non averlo visto, quando fu caricata sul carro, da una parte l'aveva rallegrata, perchè altrimenti avrebbero rapito anche lui, ma dall'altra parte ora la impensieriva.
Leopoldo sin da piccolo aveva dimostrato di non essere, come si suol dire, uno stinco di santo. Le biricchinate erano, per lui, pane quotidiano e spesso Lucrezia doveva fare il giro degli amici e dei parenti, per trovarlo.
Fu proprio il ricordo di queste cose che, però, tranquillizzò Lucrezia. Leopoldo era un asinello sveglio e intraprendente ed avrebbe saputo cavarsela, da solo, in ogni circostanza.
Fu strappata ai suoi pensieri dallo schioccare di una lunga frusta e dalla minacciosa presenza di Lonzo che si accingeva a provare il suo numero.
- so che tu sai saltare, bell'asinella ! - le disse - avrai cibo a volontà e non ti mancherà nulla.
Lucrezia avrebbe voluto dirgli che le mancava tutto, perchè non aveva Leopoldo, ma le parole non le uscirono di bocca, tanta era la paura che quell'uomo le incuteva.
Fu a quel punto che spuntò, dalle pieghe di una tenda, un piccolo cane. Era alto un palmo ed aveva il pelo così lungo che si stentava a capire cosa vi fosse sotto; neppure gli occhi erano ben visibili, si riusciva solo a vedere due punti scuri quando muoveva la testa ed i peli dondolavano da una parte all'altra del viso.
Era veloce come il vento e sembrava che il suo corpo si spostasse come sparato da un cannone anzichè portato dalle gambe. Lucrezia non aveva mai visto nulla di simile, in vita sua, ed era curiosa di vedere cosa quell'animale avesse a che fare con lei.
Anche il colore del suo pelo non era consueto per un cane: era color ruggine, ma numerose striature argentate, dall'alto al basso lo facevano somigliare ad una frangia variopinta. Il buffo di quel cane era che la cosa aveva la forma di una palla, delle stesse dimensioni della testa perciò, quando era fermo, sembrava che avesse due teste o due code. A vederlo sfrecciare poi, guardandolo di lato, alle volte dava l'impressione che andasse all'indietro.
- hoop ! Ronnie - urlò l'uomo e fece schioccare la frusta.
Quel piccolo cane fece un salto enorme come se al posto delle zampe avesse delle gigantesche molle e fu subito sulla groppa di Lucrezia, esterefatta.
- corri intorno - sbraitò Lonzo, rivolto a Lucrezia, - e non curarti di lui.
Il tendone del piccolo circo racchiudeva una pista rotonda, grande più o meno la metà di un'aia, sulla quale era stata sparsa segatura, forse per non far scivolare le bestie in corsa. Oltre a Lonzo, Lucrezia e Ronnie non vi era nessun altro che assistette al numero e le sedie pieghevoli, al di là della pista, erano tristemente vuote.
Si trattava, evidentemente, della prova di quel numero nuovo che aveva acceso le speranze di Crocco, il padrone del circo.
Lucrezia cominciò a trotterellare costeggiando il bordo della pista e trotterellando sentiva sulla schiena i saltelli del cane. Le sue piccole zampe poggiavano sicure e si capiva benissimo che Ronnie era abituato da sempre a fare quell'esercizio.
- se si tratta solo di questo - riflettè Lucrezia - dovrò solo trovare il modo di scappare, per cercare il mio piccolo, ma intanto non mi ammazzerò di lavoro.
Lonzo, con la sua frusta, la riportò alla realtà. Lucrezia non era un'asina come le altre; lei sapeva saltare gli ostacoli e nessun circo al mondo aveva mai presentato un simile numero.
L'uomo si chinò e prese, con una mano, come fosse un fuscello, una panca, di quelle che nei circhi più grandi si usano per far scendere i leoni, e la mise di colpo davanti all'asina in corsa. Non vi fu il tempo di scansarla e Lucrezia saltò. Leggera come una gazzella. Morbida come un canguro. Agile come un leopardo.
Ronnie, sulla sua schiena, la seguiva a meraviglia e ad ogni giro di pista a sua volta saltava ruotando di mezzo giro su se stesso.
Altri sgabelli... tre, quattro, cinque furono gettati da quel ceffo sul cammino di Lucrezia ma lei non se ne accorse neppure. Li saltava pensando a Leopoldo, alle sue piccole marachelle, alle corse sui prati, alle gite al fiume.
- il fiume ! Ecco dov'era Leopoldo quando lei uscì dalla capanna... - pensò. E mille angoscie l'assalirono. Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi a fiotti.
Non vide più nulla, nè la pista, nè panche e sgabelli, e la segatura le si impastò ai piedi. Incespicò e cadde, insieme a Ronnie che guaiva spaventato.
Lonzo gridò, imprecò e fece schioccare la frusta ad un palmo da Lucrezia.
- ricomincia da capo, asina ! - le disse, paonazzo e furibondo - non hai scampo !
E Lucrezia si rialzò, ricominciò a correre con Ronnie che, intanto, era di nuovo piombato sulla sua schiena, come se nulla fosse accaduto, abituato com'era anche agli intoppi.
Furono cento, o mille, i giri che Lucrezia compì, saltando gli ostacoli che si ritrovava davanti, ad ogni giro più alti, ma non piangeva più. Aveva deciso di fuggire, quella stessa sera o l'indomani e la certezza di riabbracciare presto il suo Leopoldo le aveva cancellato ogni fatica, il volto cupo e severo di Lonzo e le due teste, o le due code di Ronnie.
Vide, con la sua fantasia, solo praterie e colline e correrle incontro un piccolo asino.
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